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27 Giugno 2025Gestire bene i dati personali non è più un’opzione: è una responsabilità concreta. E spesso, a generare problemi, non sono i grandi scandali, ma gli errori quotidiani.
Nel panorama attuale, dove i dati personali rappresentano un vero e proprio patrimonio per aziende e pubbliche amministrazioni, commettere errori nella loro gestione è più frequente – e più rischioso – di quanto si immagini. La gestione dei dati non è solo una questione tecnica, ma coinvolge processi organizzativi, consapevolezza delle responsabilità e aggiornamento costante.
Molte realtà, anche in buona fede, si affidano a modelli datati, informative generiche, consensi raccolti “per sicurezza” o pratiche consolidate che però non rispettano i principi del GDPR. Il risultato? Sanzioni, segnalazioni al Garante, perdita di fiducia da parte dei clienti e un danno reputazionale difficile da recuperare.
Conoscere gli errori più comuni in ambito GDPR è il primo passo per evitarli. In questo articolo, li analizziamo uno per uno e offriamo soluzioni pratiche per correggerli, con un linguaggio chiaro e orientato all’azione.
Vediamoli insieme, partendo da uno dei più sottovalutati: la redazione dell’informativa privacy.

Errore 1 – Informative vaghe, assenti o non aggiornate
L’informativa sulla privacy è uno dei pilastri del GDPR. È il primo strumento attraverso cui un’organizzazione comunica trasparenza e correttezza nel trattamento dei dati personali. Eppure, è molto comune trovare informative incomplete, troppo tecniche, obsolete o, peggio, del tutto assenti.
Perché è un problema: senza un’informativa chiara e completa, il trattamento dei dati è irregolare e soggetto a sanzioni. Inoltre, il cittadino non è messo nelle condizioni di esercitare consapevolmente i propri diritti, come previsto dall’art. 13 del GDPR. Un’informativa ambigua o mancante può anche generare sfiducia e percezione negativa da parte degli interessati.
Come evitarlo:
- Verifica che l’informativa contenga tutti gli elementi richiesti: finalità del trattamento, base giuridica, tempi di conservazione, categorie di destinatari, diritti degli interessati, modalità per esercitarli e contatti del DPO o del titolare.
- Redigila in linguaggio semplice, comprensibile anche per chi non è esperto, evitando tecnicismi giuridici.
- Adatta l’informativa ai diversi canali di raccolta dati: sito web, form cartacei, newsletter, campagne marketing.
- Aggiornala periodicamente, in particolare quando cambia una delle condizioni del trattamento (es. introduzione di nuovi fornitori, uso di nuove tecnologie, finalità diverse).
Errore 2 – Richiedere consensi inutili o non documentabili
Uno degli equivoci più diffusi è pensare che serva il consenso per ogni trattamento. In realtà, il GDPR prevede sei diverse basi giuridiche, tra cui il consenso è solo una possibilità e, in molti casi, non è neanche quella più appropriata.
Perché è un problema:
- Richiedere un consenso quando non è necessario genera confusione e può indebolire l’autorevolezza del trattamento.
- Utilizzare consensi pre-flaggati, impliciti o troppo generici li rende giuridicamente inefficaci.
- Inoltre, basare tutto sul consenso espone a problematiche in caso di revoca: se l’utente ritira il consenso, il trattamento va interrotto, anche se ci sarebbero state basi legittime alternative.
Come evitarlo:
- Valuta attentamente la base giuridica più adatta a ogni trattamento: esecuzione di un contratto, obbligo legale, interesse legittimo, ecc.
- Richiedi il consenso solo se necessario, come nel caso del marketing diretto, della profilazione non strettamente necessaria o della comunicazione dei dati a terzi.
- Quando lo richiedi, assicurati che sia:
- Esplicito (no caselle pre-selezionate);
- Specifico (un consenso per ogni finalità);
- Documentabile (salva log, data, ora e modalità di acquisizione);
- Revocabile facilmente (es. link nelle email, modulo sul sito).
Adottare un approccio consapevole alla gestione dei consensi significa garantire trasparenza, ridurre i rischi legali e rafforzare la fiducia degli utenti.

Errore 3 – Nessuna procedura per gestire un data breach
I data breach, ovvero le violazioni di sicurezza che comportano la perdita, l’accesso o la divulgazione non autorizzata di dati personali, non colpiscono solo le grandi aziende o le realtà tecnologiche. Anche una piccola impresa, un ente pubblico o uno studio professionale possono essere coinvolti. Basta un errore banale — come un’email inviata al destinatario sbagliato con allegati sensibili, l’accesso non autorizzato a un file, la perdita di un dispositivo aziendale o un attacco ransomware — per trovarsi in una situazione di potenziale violazione dei dati personali.
Il GDPR definisce data breach come qualsiasi violazione di sicurezza che comporti accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali. Non si tratta quindi solo di hacker o furti informatici: anche la negligenza quotidiana può configurare un incidente rilevante.
Perché è un problema:
- Non sapere cosa fare in caso di violazione comporta ritardi, sottovalutazioni e potenziali danni ai soggetti interessati.
- Il GDPR impone l’obbligo di notifica al Garante entro 72 ore dalla scoperta, e — nei casi più gravi — anche la comunicazione diretta agli interessati coinvolti.
- L’assenza di un piano operativo può generare caos interno, sottovalutazione del rischio e risposta inefficace, peggiorando l’impatto dell’incidente.
Come evitarlo:
- Redigi una procedura interna scritta, approvata e condivisa che descriva con chiarezza: come si riconosce un data breach, chi va informato internamente, chi prende in carico l’analisi, chi valuta la notifica al Garante.
- Istruisci tutto il personale, anche quello amministrativo, affinché sappia riconoscere un possibile incidente (es. email inviata per errore, allegato sbagliato, documenti dimenticati in stampante) e sappia come comportarsi.
- Tieni un registro dei data breach, anche quelli non notificabili: è un obbligo di accountability e una garanzia di tracciabilità.
- Effettua una valutazione d’impatto per ogni evento: stabilisci se il rischio per i diritti e le libertà degli interessati è basso, medio o alto, e agisci di conseguenza.
- Prevedi l’assistenza legale o tecnica nei casi più complessi: la reazione tempestiva e strutturata è ciò che più conta, anche agli occhi del Garante.
Errore 4 – Trattare dati oltre il necessario o conservarli troppo a lungo
Il GDPR impone due principi fondamentali spesso sottovalutati nella pratica quotidiana:
- il principio di minimizzazione, secondo cui i dati raccolti devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto strettamente necessario per la finalità perseguita;
- il principio di limitazione della conservazione, che richiede che i dati vengano conservati solo per il tempo strettamente necessario, e poi cancellati, anonimizzati o archiviati in modo sicuro.
Perché è un problema:
Molte organizzazioni tendono a raccogliere “più dati del necessario” per precauzione o conservano informazioni per anni senza una reale utilità. Questo comportamento espone a:
- rischi di violazione (più dati = maggiore superficie di attacco);
- difficoltà di gestione (archivi confusi, accessi non tracciati);
- sanzioni da parte del Garante per mancata applicazione dei principi fondamentali del GDPR;
- perdita di credibilità e fiducia da parte di clienti, dipendenti e stakeholder.
Come evitarlo:
- Fai una mappatura dei dati raccolti: chiediti per ogni categoria di dati se è davvero necessaria.
- Evita di raccogliere dati “nel dubbio”: ogni informazione trattata deve avere una base giuridica e una finalità esplicita.
- Definisci politiche di conservazione chiare e diversificate: non tutti i dati vanno conservati allo stesso modo o per lo stesso tempo.
- Automatizza, dove possibile, la cancellazione o l’anonimizzazione dei dati giunti a scadenza.
- Prevedi controlli periodici e audit interni per verificare l’effettiva applicazione delle policy di conservazione.
- Non trascurare i dati cartacei: anche documenti fisici devono rispettare gli stessi principi del digitale.

Errore 5 – Non formare il personale che tratta i dati
Il personale è spesso il primo punto di contatto tra l’organizzazione e i dati personali. Anche il miglior sistema di gestione della privacy può fallire se chi lo utilizza non è formato o non è consapevole dei rischi legati a un uso improprio delle informazioni.
Le violazioni nascono frequentemente da disattenzioni umane: allegati sbagliati, email inviate per errore, documenti lasciati in chiaro sulla scrivania o nella stampante, condivisioni via cloud non protette. Sono errori banali, ma potenzialmente gravi, soprattutto in ambienti dove la cultura della protezione dei dati non è sufficientemente sviluppata.
Perché è un problema:
Anche se l’azienda ha predisposto policy chiare e strumenti adeguati, un comportamento scorretto da parte del personale — spesso per mancanza di formazione — può dare origine a violazioni sanzionabili. In caso di data breach, il Garante valuta se l’organizzazione ha investito in formazione adeguata e continuativa.
Come evitarlo:
- Organizza sessioni di formazione obbligatorie almeno annuali, ma prevedi anche aggiornamenti periodici in caso di cambiamenti normativi o nuovi rischi.
- Utilizza materiali semplici e coinvolgenti: video brevi, esempi pratici, simulazioni, quiz.
- Evita il “giuridichese”: la chiarezza e la comprensione sono più importanti della formalità.
- Inserisci promemoria visivi e momenti di sensibilizzazione continua (poster, newsletter interne, micro-learning).
- Nomina uno o più referenti privacy interni per supportare i colleghi e rispondere ai dubbi.
- Coinvolgi la direzione aziendale: quando la cultura della privacy parte dall’alto, diventa parte integrante della cultura organizzativa.
Errore 6- Non aver nominato un DPO quando sarebbe opportuno
In molti casi, aziende e pubbliche amministrazioni decidono di non nominare un Responsabile della Protezione dei Dati (DPO) perché ritengono di non rientrare tra i soggetti obbligati dalla legge.
È vero: il GDPR stabilisce con precisione i casi in cui la nomina è obbligatoria. Ma attenzione: la scelta di non nominare un DPO deve essere sempre giustificata e documentata.
Perché è un problema:
Molte organizzazioni non effettuano alcuna analisi formale per motivare l’assenza di un DPO. Questo può rivelarsi critico in caso di ispezione: il Garante, infatti, ha più volte ribadito che l’azienda deve essere in grado di dimostrare di aver valutato consapevolmente la non necessità della nomina. Inoltre, la mancata nomina priva l’organizzazione di una figura strategica che può fare la differenza nella gestione quotidiana dei dati: il DPO non è un mero adempimento, ma un consulente interno del management, una risorsa preziosa per prevenire problemi e trovare soluzioni pratiche.
Come evitarlo:
Esegui un’analisi documentata che motivi la scelta di non nominare un DPO, indicando criteri oggettivi (es. tipologia e volume dei trattamenti, rischio per i diritti e le libertà, assenza di monitoraggi sistematici o trattamenti su larga scala).
Considera la nomina di un DPO anche quando non obbligatoria per legge: è una scelta che il Garante valuta positivamente e che può rafforzare il sistema privacy dell’organizzazione.
Valorizza il DPO come figura di supporto al management, in grado di interpretare le normative, semplificare gli adempimenti e suggerire soluzioni concrete e proporzionate.
Conclusione
Gli errori nella gestione dei dati personali non sono solo violazioni formali da correggere su carta: sono punti deboli reali che, se trascurati, possono trasformarsi in vulnerabilità operative, cause di sanzioni e — soprattutto — in fratture profonde nella fiducia che clienti, utenti e cittadini ripongono nell’organizzazione.
La protezione dei dati, oggi, è una forma di rispetto e trasparenza. È una leva di reputazione e competitività.
La buona notizia è che questi errori possono essere evitati. Basta iniziare con consapevolezza, metodo e strumenti semplici ma efficaci. Anche le piccole realtà, con il giusto affiancamento, possono costruire un sistema di gestione dati proporzionato, chiaro, sostenibile e davvero utile.
Hai riconosciuto uno di questi errori nella tua azienda o nella tua PA?
Parliamone. Con Servizio DPO puoi costruire una strategia di protezione dati che non si limiti al rispetto normativo, ma diventi parte integrante della tua identità organizzativa. Ti aiutiamo a:
- individuare le criticità più urgenti,
- mappare i trattamenti e le responsabilità,
- formare il personale con semplicità e concretezza,
- trasformare la compliance in un vantaggio competitivo.
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La protezione dei dati oggi non è solo un obbligo normativo, ma un pilastro di reputazione, trasparenza e fiducia.